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Separazione personale dei coniugi

Categoria: Diritto Famiglia

La finalità dell’istituto, nettamente differente da quella del divorzio, è quella di concedere ai coniugi un periodo di separazione coniugale (intesa come cessazione del dovere di rispettare quelli che sono gli obblighi matrimoniali, primo fra tutti l’obbligo di convivenza) durante il quale valutare se consacrare definitivamente la volontàdi interrompere il matrimonio per mezzo della domanda di divorzio, oppure se sussistono possibilità per una riconciliazione.

L’attuale formulazione dell’art. 151 c.c. consente, nel caso non vi sia già un accordo tra i coniugi, di proporre domanda di separazione sul solo presupposto che la prosecuzione della convivenza sia divenuta "intollerabile", oppure “tale da recare grave pregiudizio all’educazione della prole”.

La separazione (sia essa consensuale o giudiziale) non fa venire meno lo status di coniuge (e ciò con le connesse conseguenze in materia di diritti successori ove il coniuge separato è a tutti gli effetti equiparato a quello non separato); è infatti considerata una situazione transitoria alla quale vi si può porre fine con una riconciliazione, manifestabile in qualsiasi momento e senza alcun bisogno di formalità; sarà infatti sufficiente un comportamento di fatto che può consistere anche nella semplice ripresa della convivenza o in una dichiarazione dei coniugi rilasciata presso il Comune di residenza.

Ancorché manifestabile senza obbligo di formalità, affinché la riconciliazione interrompa il decorso del termine per la richiesta di divorzio è tuttavia necessaria l'effettiva ricostituzione della comunione di vita tra i coniugi; a seguito della riconciliazione una nuova separazione può essere pronunciata soltanto per fatti posteriori alla riconciliazione stessa.
Inoltre, laddove i coniugi si siano sposati scegliendo il regime patrimoniale della comunione dei beni, dalla data della sottoscrizione del processo verbale di separazione, purch&acuta; omologato (in caso di separazione consensuale), ovvero dal momento in cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati(in caso di procedimento giudiziale), si avrà lo scioglimento automatico della comunione dei beni.

Effetti della separazione

“Gli effetti legati allo status di separato sono limitati alla cessazione per entrambe i coniugi del dovere di rispettare gli obblighi coniugali (assistenza reciproca, obbligo di convivenza, attenuazione obbligo fedeltà), nonché sul piano patrimoniale quello dello scioglimento della comunione legale dei beni.”

La legge disciplina due procedimenti per addivenire alla separazione (separazione consensuale e separazione giudiziale), mentre un terzo genus consolidatosi per prassi (separazione di fatto) non comporta alcuna conseguenza sul piano giuridico e pertanto può essere attuato mediante semplici comportamenti concludenti da parte dei coniugi i quali di comune accordo decidono di vivere separati.

Principali questioni in ambito di Separazione

In seguito vengono elencate le principali questioni e problematiche che vengono affrontate nel corso di una separazione tra coniugi.



  • Affidamento figli

  • In caso di separazione, sia essa consensuale o giudiziale, questione di particolare rilievo è quella riguardante l’affidamento della prole.

    La disciplina regolatrice del regime di affidamento dei figli in ambito di “dissoluzione della coppia genitoriale” (quindi la seguente disciplina è applicabile anche nei procedimenti relativi ai figli minori di genitori non coniugati) è da individuarsi negli artt. 155 e ss del codice civile, così e come modificati con la Legge n. 54 – 8 febbraio 2006.

    Con l’introduzione di tale normativa il Giudice, in sede di separazione, avendo cura di considerare esclusivamente l’interesse della prole “…valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori (affidamento condiviso)…” (art. 155 c.c., II comma), ciò proprio perché “anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

    La normativa impone quindi come regola generale l’affidamento condiviso, tuttavia, rientra espressamente nei poteri del Giudice, la possibilità di disporre che i figli siano affidati in via esclusiva ad uno solo dei genitori quando, sempre considerando esclusivamente l'interesse della prole, sia da ritenersi la soluzione migliore.

    La possibilità di affidamento esclusivo, che deve essere disposta con provvedimento specificamente motivato, è però subordinata all’esistenza di gravi situazioni familiari ove il rapporto con uno dei genitori sia addirittura contrario all’interesse del minore.

    Con il termine affidamento, viene intesa la potestà genitoriale sulle decisioni fondamentali riguardanti la crescita del minore quali educazione, istruzione.
    Per indicare invece con quale dei genitori il minore continuerà a risiedere si farà invece riferimento al collocamento. In caso di affido esclusivo il coniuge affidatario avrà la potestà sui figli oltre all’amministrazione e l’usufrutto legale sui loro beni.

    Infine, nei casi in cui non vi sia accordo tra le parti (separazione giudiziale), il Giudice determina “... i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, fissando altresì la misura ed il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli (art. 155 c.c.).

    Con riferimento alla quantificazione del contributo al mantenimento della prole, verrà stabilito a carico del coniuge che non ha ottenuto la collocazione (in quanto generalmente il coniuge convivente con il figlio contribuisce con vitto ed alloggio), l'obbligo di corresponsione di un assegno periodico il cui importo sarà determinato considerando:

    • le attuali (al momento della proposizione della domanda) esigenze del figlio;
    • il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
    • i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
    • le risorse economiche di entrambi i genitori.

    L’assegno deve essere versato mensilmente in via anticipata e non ricomprende le spese straordinarie (ad es. spese scolastiche, mediche straordinarie, odontoiatriche, sportive e ricreative) che dovranno essere versate separatamente. L’importo dell’assegno deve inoltre essere annualmente rivalutato sulla scorta degli indici ISTAT.

    L'obbligo di mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età dei figli, è infatti ormai orientamento giurisprudenziale consolidato quello di garantire il mantenimento dei figli, ancorch&eacuta; maggiorenni, qualora non siano in grado, in base alle proprie aspirazioni e possibilità, di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento.

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  • Assegnazione casa coniugale

  • Una delle questioni di maggior conflitto, tra coniugi in corso di separazione, è rappresentata dall’assegnazione della casa coniugale, soprattutto se vi è la presenza di figli minori (o comunque non autosufficienti), in quanto in tale sede entrano in gioco interessi necessariamente contrastanti ed ugualmente tutelati in ambito costituzionale.

    All’interesse del coniuge non proprietario di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti si contrappone infatti l’interesse contrario dell’altro coniuge a voler vedere riconosciuto il proprio diritto di proprietà.

    Pertanto, al fine di giustificare il sacrificio imposto ad uno dei coniugi, il legislatore si è ispirato ad un preciso principio che consiste nel privilegiare l’eslcusivo interesse dei figli in modo da salvaguardare il bisogno dei minori “di continuare senza traumi ad usufruire dello standard di vita realizzato in costanza di convivenza dei genitori e di mantenere inalterati i rapporti con l’ambiente in cui sono vissuti” (Jannarelli).
    Ciò in quanto è la stessa normativa che disciplina il regime primario della famiglia (artt. 144, 147 e 261 c.c.) che induce a ritenere, quale componente essenziale della vita familiare e della normale crescita educativa dei figli, l’esistenza di una casa coniugale, centro degli affetti e delle relazioni familiari.

    La norma in esame costituisce, nel sistema della legge, una misura di garanzia e di protezione dei figli minori, nonché dei figli maggiorenni che siano privi (non per loro colpa) di redditi propri, volta ad evitare l'ulteriore lacerazione di un allontanamento coattivo dal focolare domestico ed a favorire la continuazione della convivenza con il genitore affidatario o con quello con il quale abbiano deciso di continuare a vivere.

    Tuttavia, ai fini della regolazione dei rapporti economici tra genitori, il Giudice deve tenere conto dell’assegnazione della casa familiare considerando l’eventuale titolo di proprietà.
    Quindi in sostanza nei casi in cui il Giudice attribuisca alla madre il godimento della casa, ancorché questa sia di proprietà comune o esclusiva dell’altro coniuge, dovrà necessariamente tenerne conto ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento in quanto l’esigenza abitativa della moglie, soddisfatta con l’assegnazione della casa, equivale al valore economico del godimento di un bene altrui.

    Allo scopo di permetterne l’opponibilità a terzi che dovessero acquisire diritti sull’immobile, il provvedimento di assegnazione della casa familiare è espressamente passibile di trascrizione ai sensi dell’art. 2643 codice civile.

    Perdita assegnazione

    Il diritto al godimento della casa coniugale cessa di sussistere nei casi indicati dall’art. 155-quater codice civile, ossia “nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio (convivenza di fatto) o contragga nuovo matrimonio”.

    Al riguardo occorre però specificare che, a seguito di intervento della Corte Costituzionale con sent. n. 308/08 in merito ad una questione di legittimità costituzionale dell'art. 155 quater cod.civ., la norma va interpretata nel senso che: "l'assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di un convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza della stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore", implicando quindi una valutazione del giudice im merito al pregiudizio che il mionore potrebbe subire in conseguenza della perdita dell'assegnazione della casa coniugale.

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  • Rapporti patrimoniali

  • Anche la questione relativa alla divisione dei beni tra i coniugi è di non facile soluzione, in particolar modo laddove tra gli stessi sia in vigore il regime patrimoniale della comunione dei beni, regime che (a seguito della riforma del 1975) viene applicato automaticamente in mancanza di un diverso accordo espresso dai coniugi.

    Pertanto, tutti i coniugi che, a partire dal 1975, non si sono espressamente accordati per l’applicazione del regime della divisione dei beni, sono automaticamente assoggettati al regime patrimoniale della comunione, con la conseguenza che i beni acquistati dai coniugi in costanza di matrimonio (ad eccezione di alcune categorie di beni) sono considerati come beni in comproprietà anche quando acquistati da un solo coniuge.

    Ai sensi dell'art. 191 codice civile lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi ha effetto al verificarsi di una delle seguenti cause:

    1. morte di uno dei coniugi;
    2. sentenza di divorzio;
    3. dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi;
    4. annullamento del matrimonio;
    5. separazione personale legale tra i coniugi (no separazione di fatto);
    6. fallimento di uno dei coniugi;
    7. convenzione tra i coniugi per abbandonare il regime di comunione, sostituiendolo con un altro dei regimi patrimoniali ammessi;
    8. separazione giudiziale dei beni.

    Ciascun coniuge potrà inoltre chiedere la separazione giudiziale dei beni al sussistere di una delle seguenti cause:

    1. interdizione di uno dei coniugi;
    2. inabilitazione di uno dei coniugi;
    3. cattiva amministrazione della comunione;
    4. disordine negli affari personali di un coniuge, tale da mettere in pericolo gli interessi dell'altro o della comunione o della famiglia;
    5. condotta tenuta da uno dei coniugi nell'amministrazione della comunione tale da creare la situazione di pericolo di cui al numero precedente;
    6. mancata o insufficiente contribuzione da parte di uno dei coniugi al soddisfacimento dei bisogni familiari, in relazione all'entità delle sue sostanze e alle sue capacità di lavoro.

    Peraltro, tra i beni che cadono nella comunione occorre una distinzione, vi sono infatti beni che rientrano nella comunione sin dal loro acquisto (c.d. comunione immediata) e beni che divengono oggetto di comunione solamente al momento dello scioglimento della comunione stessa (c.d. comunione de residuo).

    Beni che ricadono nella c.d. comunione immediata:

    • tutti gli acquisti effettuati dai coniugi durante il matrimonio (insieme o separatamente) ad eccezione dei beni personali;
    • le aziende gestite da entrambe i coniugi costituite dopo il matrimonio;
    • gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambe i coniugi, ma che prima del matrimonio appartenevano ad uno solo di essi.

    Beni che ricadono nella c.d. comunione de residuo:

    • i redditi personali sono considerati oggetto di comunione nel solo caso in cui non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione stessa; pertanto i risparmi, ancorché appartenenti ad un solo coniuge, dovranno essere divisi tra entrambe nel momento in cui la comunione si scioglie.

    Beni esclusi dalla comunione:

    • i beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio;
    • i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione in favore di un coniuge, salvo che siano espressamente attribuiti alla comunione;
    • i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge;
    • i beni destinati all’esercizio della professione del coniuge;
    • i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
    • i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o col loro scambio, sempreché all’atto di acquisto sia espressamente dichiarata l’esclusione del bene dalla comunione.

    Tale ultima categoria ricomprende quei beni che si considerano in ogni caso esclusi dalla comunione e resteranno di proprietà esclusiva del singolo coniuge.

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  • Rapporti economici

  • Assegno di mantenimento

    In caso di separazione giudiziale (poichè nella consensuale vi è l’accordo), al coniuge cui non sia addebitabile la colpa della separazione è data la possibilità di richiedere al Giudice la condanna dell'altro coniuge al versamento di un assegno a titolo di mantenimento.

    La funzione dell'assegno di mantenimento è quella di garantire al coniuge economicamente debole la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, trattasi quindi di una funzione prettamente assistenziale.

    Condizioni per richiedere il mantenimento:

    • separazione non addebitabile al coniuge richiedente;
    • assenza di redditi propri tali da consentire al coniuge richiedente un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio;
    • evidente disparità reddituale tra i coniugi.

    L'entità dell'assegno di mantenimento, deve essere determinata tenendo conto dei redditi del coniuge obbligato e dei bisogni dell'altro, nonché delle quote di proprietà della casa coniugale eventualmente assegnata al coniuge non obbligato al mantenimento.

    Ai fini della sua quantificazione, il Giudice procederà, quindi, ad una valutazione complessiva dei redditi, dei cespiti patrimoniali (considerando l'eventuale assegnazione della casa familiare), nonché di ogni altra attività passibile di valutazione economica, in ogni caso tali elementi andranno considerati solo a seguito dell'accertamento del tenore di vita tenuto dai coniugi durante la vita matrimoniale.

    La Corte Costituzionale ha infatti statuito al riguardo che: "...il Giudice del merito, al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento, deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge richiedente gli permettono di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno; e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici di ciascun coniuge al momento della separazione." (Cassaz. 6698/2009).

    Diritto agli alimenti

    il diritto agli alimenti è un istituto diverso dall'assegno di mantenimento e diversi sono i presupposti in base ai quali il diritto può essere concesso.

    Trattandosi di un istituto che trova il suo fondamento etico-sociale nel dovere della reciproca assistenza e della solidarietà in relazione ai bisogni essenziali per la vita, può essere concesso anche al coniuge cui sia stata addebitata la colpa della separazione.

    Presupposto fondamentale per avere diritto agli alimenti è rappresentato da uno stato di bisogno consistente nell'assoluta deficienza di mezzi propri di sostentamento e l'impossibilità di procurarseli, in tutto o in parte, attraverso lo svolgimento di attività lavorativa.

    Per la funzione che svolge tale istituto, la misura degli alimenti non deve superare le esigenze della vita dell'alimentando.

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  • Diritti successori

  • In tema di questioni ereditarie tra coniugi, l'art. 585 codice civile prescrive che la successione del coniuge separato è equiparata a quella del coniuge non separato a condizione che non sia addebitata la responsabilità della separazione con sentenza passata in giudicato al momento dell'apertura della successione.

    La separazione intervenuta tra i coniugi non comporta la perdita dei diritti successori spettanti ai coniugi, tuttavia, in caso di separazione giudiziale con addebito, i diritti successori vengono riservati solo al coniuge cui non sia stata addebitata la separazione, mentre al coniuge al quale sia attribuita la colpa ha diritto solamente ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della successione godeva degli alimenti da parte del coniuge deceduto.

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  • Modifica condizioni di separazione

  • Le condizioni raggiunte dai coniugi poste alla base degli accordi di separazione tanto in sede giudiziale quanto consensuale, possono essere in qualsiasi momento, per sopravvenuti giustificati motivi, revocate o modificate dal Tribunale.

    Tale possibilità è concessa in quanto, in sede di separazione, i provvedimenti sono assunti dal Giudice in base allo "stato dei fatti" esistente al momento della decisione sulla scorta del principio rebus sic stantibus (stando così le cose), ma nulla impedisce che le circostanze possano cambiare e che su tali cambiamenti vengano revisionati gli accordi.

    Affinché si possa instaurare un procedimento di revisione è necessario che siano sopravvenute circostanze imprevedibili in sede di separazione e che siano indipendenti dalla volontà dei coniugi (come può essere la sopravvenuta ulteriore necessità economica del coniuge titolare dell'assegno a seguito della perdita del posto di lavoro o al contrario la maggiore stabilità economica dell'obbligato, il percepimento da parte di un coniuge del TFR maturato in costanza di matrimonio, ecc).

    Il giudizio di revisione delle condizioni, instaurato con ricorso ai sensi dell'art. 710 c.p.c., può essere avviato sia consensualmente che giudizialmente e darà luogo ad un decreto avente valore di sentenza impugnabile nei tempi e modalità prescritte dalla legge.

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  • Procedimento di Separazione

  • Il diritto di proporre domanda per la separazione giudiziale o l'omologazione di quella consensuale spetta ai soli coniugi trattandosi di un procedimento avente ad oggetto diritti personalissimi.
    Questo procedimento ha lo scopo di modificare il rapporto coniugale dando luogo ad uno stato di separazione che non può essere costituito se non attraverso questo procedimento.

    Il nostro ordinamento configura due procedimenti di separazione, quello giudiziale e quello consensuale, che sono sostanzialmente identici nella loro fase iniziale innanzia al Presidente del Tribunale per poi proseguire nella successiva fase con forme procedimentali diverse.

    La domanda si propone con ricorso (che deve indicare l'eventuale esistenza di figli) da depositarsi nella cancelleria del Tribunale del luogo dell'ultima residenza comune o, in mancanza del luogo ove il coniuge convenuto (o il coniuge che non propone la domanda in caso di separazione consensuale) ha la residenza o il domicilio.

    A seguito del deposito del ricorso, il presidente fissa la data dell'udienza presidenziale, che deve essere tenuta entro 90 giorni dal deposito del ricorso ed alla quale i coniugi devono comparire personalmente.

    La presenza dei coniugi è prescritta dalla legge al fine di permettere al presidente di effettuare un tentativo di conciliazione al fine di verificare l'eventuale sussistenza di presupposti di un ricongiungimento materiale e spirituale tra i coniugi che, a tale scopo, vengono sentiti dapprima separatamente e poi congiuntamente.

    Se i coniugi si conciliano, il presidente farà redigere processo verbale della conciliazione ed un'eventuale nuova domanda di separazione non potrà essere fondata sulle medesime ragioni.

    Qualora invece la conciliazione fallisca, il procedimento proseguirà con modalità diverse a seconda che si tratti di separazione consensuale o giudiziale.

    • In caso di procedimento consensuale si darà atto, nel processo verbale, del consenso dei coniugi alla separazione, nonch&eacuta; delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole. A questo punto sarà sufficiente l'omologazione del tribunale del ricorso di separazione (che è sostanzialmente un controllo di legittimità delle condizioni con le quali i coniugi hanno deciso di separarsi) affinchè i coniugi siano legalmente separati.

    • In caso invece di procedimento giudiziale il presidente emetterà un provvedimento (ordinanza presidenziale) nel quale verrà fissata la data di udienza e nominato il Giudice istruttore avanti il quale la causa dovrà proseguire ed inoltre stabilirà, in via anticipatoria, "...i provvedimenti temporanei ed urgenti che il presidente reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole" (art. 708 c.p.c.).
      All'udienza così fissata innanzi al Giudice istruttore, se "il processo deve continuare per la richiesta di addebito, per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla sola separazione" (art. 709/bis).

    Il procedimento giudiziale si chiude quindi con una sentenza contenente, oltre alla pronuncia sulla separazione, i provvedimenti assunti riguardo alla prole e su tutte le questioni economico/patrimoniali vertenti tra i coniugi.
    Con esclusione della pronuncia sulla separazione, tutte le condizioni di separazione sono passibili di modifica attraverso il procedimento di revisione, anche in seguito al passaggio in giudicato della sentenza.

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  • Documentazione

  • Allo scopo di poter istruire una pratica di separazione o divorzio, è necessaria la produzione in giudizio della seguente documentazione (a titolo indicativo viene elencata la documentazione richiesta dal Tribunale di Monza).

    Separazione consensuale

    • copia integrale dell'atto di matrimonio (da richiedere presso lo Stato Civile del Comune ove è stato celebrato il matrimonio)
    • certificati di residenza e stato di famiglia di entrambe i coniugi rilasciati da non più di 6 mesi (da richiedere presso l'Ufficio Anagrafe del Comune di residenza, non è possibile l'utilizzo di autocertificazione non avendo i Tribunali l'obbligo di riconoscerne la validità).
    • dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni.
    • copia di un documento di identità e codice fiscale di entrambe i coniugi.

    Separazione giudiziale

    • copia integrale dell'atto di matrimonio (da richiedere presso lo Stato Civile del Comune ove è stato celebrato il matrimonio)
    • certificati di residenza e stato di famiglia di entrambe i coniugi rilasciati da non più di 6 mesi (da richiedere presso l'Ufficio Anagrafe del Comune di residenza, non è possibile l'utilizzo di autocertificazione non avendo i Tribunali l'obbligo di riconoscerne la validità).
    • dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni.
    • copia di un documento di identità e codice fiscale di entrambe i coniugi.

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